Il presente ed il futuro dei blog letterari secondo Carlotta Susca

fonte: klit.it, 10/05/12

Se fossimo in un racconto di Douglas Coupland tutto questo scrivere post e commentare probabilmente renderebbe la nostra carne meno appetitosa per gli alieni che si nutrono della nostra razza, e quindi avremmo ragione a scrivere in maniera così compulsiva, ma la avremmo per le ragioni sbagliate.

La verità è che anche se ci piace tanto dire di svolgere un servizio al lettore, e di farlo con abnegazione, e di farlo senza essere pagati quando invece sarebbe giusto esserlo, per un buon 90% lo facciamo per vanità, e controlliamo compulsivamente il numero di ‘mi piace’ e di retweet.

Parliamo un attimo di questa aberrazione. Quanti scrittori o sedicenti tali vi intasano la posta privata e la sezione pubblica di Facebook per chiedere di certificare il vostro apprezzamento alla pagina dedicata al loro romanzo (o presunto tale)? E alla loro raccolta di poesie? Ancor più, forse. Non vi stanno chiedendo – no, e a chi interessa? – di esprimere un giudizio sul loro libro. Perché se poi vi dovesse capitare di recensirlo, magari sollevando solo qualcuna delle questioni che lo rendono terribile, loro griderebbero allo scandalo, e vi chiederebbero di scendere dal piedistallo, e magari vi indicherebbero le parti della vostra recensione da sostituire con quest’altra frase, questa sì, spiegherebbe meglio l’essenza del mio capolavoro.

Ma allora perché quest’ansia di ottenere un click senza alcun peso? Perché siamo arrivati al punto di rincorrere i numeri? Anche noi, che diciamo di svolgere un servizio, e poi non sappiamo se scrivere ciò che vorremmo o ciò che al pubblico potrebbe piacere, turandoci il naso se si tratta di fotografie buffe o banalità.

La china intrapresa dai Lit blog è pericolosa, pericolosissima. Ma è la stessa di organizzatori di festival letterari e librai, tutti costretti a fare proposte sufficientemente comprensibili, e popolari, e televisive, e di massa. Ma che c’importa della massa? A che serve affannarsi a conquistare un pubblico che è non interessato a quello che vogliamo offrirgli? E, d’altra parte, a che pro rendere incomprensibile un messaggio quando, scrivendolo, non ci curiamo del contenitore a cui è destinato e non inseriamo un rigo bianco fra i paragrafi, una immagine, qualche grassetto?

Se fossi un’utopista, scriverei del futuro dei Lit blog immaginando blogger che scrivono e formattano e rendono gradevole l’aspetto del loro blog e poi, invece che spammarlo in giro per il web, tornano a quello che sarebbero tenuti a fare, o ciò che ci si aspetta che loro facciano: leggere. Credo che sia utile saper fare tutto, promozione inclusa, ma ho anche notato che senza il giratempo di Hermione diventa difficile, e lo è ancor più farlo bene. Nel mio mondo utopico qualcun altro si occupa della promozione, e lo fa per lavoro, e magari esiste un unico superportale che fa da collettore globale di tutti gli articoli, e i lettori, nel mio mondo utopico, sono tantissimi e commentano con cognizione, senza portare avanti, nei commenti, le solite rette parallele di posizioni che servono, anche quelle, a gratificare l’ego. No, in questo universo utopico i commenti sono tutti costruttivi e motivati e servono alla crescita di tutti, e tutti crescono.

Se fossi una distopista, invece, immaginerei fra qualche anno milioni di blog solo in Italia, quasi tutti che cercano di rendere conto dell’esistenza di tutti gli altri blog sullo stesso argomento, e tutti i lettori sono blogger e nessuno legge i post degli altri perché deve scrivere i propri, e nessuno ha più il tempo di leggere tutti i libri di cui dovrebbe scrivere, e così cerca riassunti su Internet, ma non ce ne sono scritti da gente che abbia davvero letto i libri, e sono tutti ritagli dalla quarta di copertina e tutti comunicati stampa, e quindi tutti positivi, e chiunque ottiene miliardi di clic sulla propria pagina cliccando in cambio, a sua volta, numerose volte per dare il suo consenso e svilire così di giorno in giorno il proprio nome e la propria credibilità. E gli uffici stampa avranno blogger che si mischieranno agli altri blogger e scriveranno recensioni entusiastiche dei libri che sono pagati per promuovere, e nessuno dirà nulla, perché sarà necessario aggiornare i blog dieci volte al giorno e servirà pur gente che scriva articoli, e non importa se saranno pessimi, e se avranno gli accenti sbagliati e le virgole attaccate alla parola successiva.

E poi ci sarà la Resistenza, un manipolo di coraggiosi che si opporranno e che scriveranno solo pezzi in Helvetica, corpo 10, senza rientri di paragrafo, senza testate sul blog se non il nome riproposto – unico vezzo – magari in Harrington o in Calligraphica. Neanche loro si leggeranno a vicenda, perché passeranno tutto il tempo a preparare il pezzo successivo, infarcito di riferimenti ricercati e costruito con un mare ipotattico periglioso, infido.

Scenario distopico (utopico?) alternativo: l’elettricità è scomparsa, e la gente, orfana di blogspot (già provato da un calo di consensi negli anni Dieci), wordpress, thumblr, e ormai preda della frenesia commentatoria, comincia a riempire muri e asfalto di scritte, e prende a ricopiare e a diffondere, e tornano gli strilloni, e questo fa perdere molto più tempo, e nessuno legge più, e la letteratura muore.

Ora sembra che io sia apocalittica, ma considero i social network uno strumento potente per entrare in contatto con persone le cui idee ci interessano. Come per tutte le cose è rendere il mezzo un fine a rovinare ogni migliore intenzione. Sono tuttora perplessa sul futuro dei Lit blog, e spero che il #LitBlogStorm possa diventare uno strumento autocritico, che serva per interrogarsi su questioni come la forma, il contenuto, la qualità.

Carlotta Susca