Che fine ha fatto la poesia? – di Nicola Vacca

I soliti intellettuali politicamente corretti si inventano i poeti laureati da esibire nei salotti. Sempre gli stessi nomi utili a incentivare una baronale egemonia culturale. Questo è il male diffuso che compromette lo stato della poesia contemporanea e il suo ruolo culturale e sociale.

Questa situazione è soprattutto incoraggiata anche dalle complicità conniventi e di scuderia del mercato editoriale con alcuni grossi nomi della poesia contemporanea, i soli che riescono a vivere di quello che scrivono.

Il mondo complesso di questo genere letterario vanta una significativa realtà sommersa, rappresentata dalla piccola e media editoria, che si presenta sul mercato della competizione libraria con un catalogo di autori di qualità che difficilmente riescono ad ottenere una visibilità sugli scaffali delle novità perché il monopolio della poesia laureata è l’unico credo che di conseguenza esclude dal gioco una poesia alta sia per quanto riguarda lo stile che i contenuti. Obiettivo principale sempre centrato dalla linea editoriale dei numerosi piccoli editori, che caparbiamente propongono al ristretto pubblico della poesia opere interessanti che nobilitano e conferiscono prestigio al mondo suggestivo del verso.

Possiamo affermarlo senza remore, oggi la buona poesia nel nostro contesto culturale la si trova soltanto nelle collane dei piccoli e medi editori.

Ma purtroppo gli assassini della poesia, che si riuniscono in conventicole e si parlano addosso creando veri e propri centri di potere culturale, e lo detengono promuovendo soltanto gli adepti alla loro scuola, infine si trovano, grazie alla complicità di una potente e facoltosa lobby editoriale, a dettare legge: seguendo i dettami di un Sinistro manicheismo impongono al mercato della cultura il loro verbo (dopo di noi nella poesia il diluvio) e tutto quello che non rientra nella loro scuola è non poesia che va ignorata e snobbata. “Il pensiero dominante” imposto dagli assassini della poesia diventa la linea ufficiale al di fuori della quale non esiste nulla di buono. Ma poeti non bisogna esserlo soltanto sulla carta, poeti si è soprattutto nella vita.

cattivo

Contro questi assassini della poesia, che chiameremo i poeti effimeri delle cose che scrivono per apparire e non per essere, si leva alta e dignitosa la voce della poesia del cuore e dello spirito, unico avamposto in grado di contrastare il conformismo narcisistico di coloro che tentano di uccidere i contenuti della poesia con una sorta di operazione di marketing legata alla promozione del loro ego.

Non ci resta che continuare a scoprire le opere autentiche di poeti che scrivono versi perché credono che la poesia debba essere salvata: quel che conta e l’opera senza la quale nulla avrebbe ragione di essere. Dunque dare più voce, dignità e concreto sostegno alla realtà della piccola e media editoria potrebbe essere una giusta soluzione da caldeggiare, sia dal punto di vista legislativo che culturale, per dare fiducia a un genere letterario come la poesia, spesso penalizzato per via della sua forzata e voluta emarginazione. Promuovere la qualità del libro di poesia, di cui si avverte il bisogno in una cultura omologata e politicamente corretta, attraverso il sostegno a favore di coloro che coraggiosamente si affacciano sul mercato con proposte editoriali coraggiose e anticonformiste.

“Bisogna indicarli gli assassini della poesia – scrive polemicamente Giuseppe Conte- non sono certo il popolo, i ragazzi e le ragazze, i lavoratori, gli anziani, le persone comuni, ma sono tra i poeti e gli intellettuali stessi almeno tra quelli che vivono di rendita, su vecchie posizioni nichiliste, materialistiche ed eurocentriche, sono fra quei borghesi corrotti, cinici ,conformisti, pigri ,incolti che rappresentano il ventre molle della classe dirigente italiana, sono tra i cultori del trash, sono tra coloro che attaccano e avvelenano la Madre Terra, sono tra i sostenitori di una inedita gerarchia in cui Denaro e Tecnica occupano il primo posto nella scala dei valori”.

L’atto di accusa di Giuseppe Conte punta il dito contro l’ipocrisia di un certo mondo culturale del quale fanno parte anche quegli intellettuali che amano sulla carta definirsi poeti ma poi nella vita sono soltanto degli astuti calcolatori a caccia di proficue rendite di posizione.

L’appello di Conte va decisamente condiviso, anche perché gli assassini della poesia sono numerosi e non agiscono nell’ombra. Tra questi ci sono sicuramente i poeti della cosiddetta linea lombarda, che ha avuto in Luciano Anceschi il suo padre nobile. Oggi la sua discreta fortuna editoriale, come ha scritto Flavio Santi, è legata al marketing (“La linea lombarda , molto pragmaticamente, ha capito che non basta scrivere capolavori. Bisogna anche saperli vendere. A volte , se è il caso, anche con l’aiuto di qualche imbonitore”) e alle “amicizie giuste tra i critici.

Della poesia arida, oggettiva, fredda, antiemozionale , della poesia delle cose espressa da questa corrente letteraria non resterà assolutamente nulla. Ma a questi poeti interessa il mercato e l’immagine da consolidare attraverso il potere culturale di una critica letteraria e di un mercato editoriale che divulgano il loro agire a prescindere dalla qualità dell’opera.

Nei poeti della linea lombarda si percepisce soltanto un anoressico vuoto che finisce per neutralizzare la capacità di provare qualcosa.

La loro filosofia di azione è il pensiero dominante che detiene un potere culturale e detta le linee guida della poesia contemporanea, influisce sulle scelte del mercato editoriale: sono loro a decidere, senza possibilità di replica, chi deve emergere, e chi deve essere escluso sacrificando quasi sempre quei poeti che scrivono per essere, per premiare coloro che invece scrivono per apparire.Se andiamo avanti così scopriremo che la posta in gioco è l’estinzione della vera poesia.

Ma in questi ultimi anni, chi ha veramente ucciso la poesia, nello specifico dei suoi contenuti, sono gli scrittori del cosiddetto movimento del gruppo ’93, i cui massimi esponenti sono Aldo Nove e Tiziano Scarpa. Un minimalismo iperquotidiano fatto di vuoto e di nulla è il tema principale della loro linea poetica. Cosa ce ne facciamo di una poesia alla portata di tutti che esprime l’assenza di contenuti e soprattutto di un energico sentire? Complice di questa operazione di killeraggio letterario è il mercato editoriale della grande distribuzione che contrabbanda per poesia quella divulgata di questi autori che hanno la presunzione di essere i più grandi scrittori e poeti del momento. Nel rifiuto assoluto di tutto quello che li ha preceduti, tradizione letteraria compresa, propongono nei loro libri versi scritti solamente per rappresentare un edonismo senza valori, unico elemento rappresentativo della loro intera opera.

Il vero omicidio della poesia è il contrabbando. Contrabbandare per nuova esperienza poetica un operazione commerciale che impone al pubblico dei lettori un prodotto piuttosto che un’autentica opera letteraria. Questa subcultura imposta dal potere culturale è diventata il punto di riferimento della già maltrattata poesia contemporanea.

Gli assassini della poesia sono presenti non solo tra i poeti. Ma la rete della loro organizzazione si estende soprattutto nell’intero mondo dell’editoria e della comunicazione: li troviamo nelle case editrici , nelle redazioni dei grandi giornali, nei talk-show.

Tutti pronti a usare il nobile concetto della poesia per promuovere il prodotto effimero della loro immagine.

Sì perché, gli assassini della poesia, che siano poeti o critici letterari o giornalisti politicamente corretti, credono che anche il senso profondo del linguaggio e del pensiero possa essere usato come merce dell’economia di mercato.

Sono numerosi gli assassini della poesia che, nel nome della poesia, si sono creati profitti e tornaconti personali e magari hanno scritto dei libri di cui non rimarrà traccia.

La mediocrità del mondo culturale è tutta rappresentata da questi signori che amano riconoscersi in scuole dalle porte chiuse ed elitarie. Consorterie politicamente orientate composte da intellettuali travestiti da manager, imbonitori e venditori, servi sciocchi del potere culturale. L’unico obiettivo è quello di cavalcare le scene di un protagonismo asservito al vuoto effimero che esprimono.

Gli assassini della poesia, li vediamo sfilare, presenzialisti in ogni dove, con la maschera del conformismo, sempre pronti ad abbracciare il credo prevalente di turno, intellettuali asettici di corte senza dignità. Sempre al centro di una scena popolata da nani, ballerine e inutili comparse.

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Immagine: particolare da L’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico di Siena, 1338-1339

Un Commento

  1. Bravo Nicola! E bravo per i nomi e i cognomi!

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